CARTAVETRATA di Franco Pennasilico

LA VOCE DELLO SPETTACOLO   2 febbraio 2000


VENTI ANNI IN UNO

Articolo 42 di 42


Vado volentieri ad assistere agli spettacoli teatrali dei quali ho il compito di riferire dalle colonne del giornale, perché oltretutto facendo teatro per mestiere, ogni rappresentazione che mi capita di vedere rappresenta un modo per imparare sempre cose nuove, e quindi è un po' come se andassi a scuola.
Mercoledì, quando il Direttore Pontillo mi ha mandato a scrivere dello spettacolo di Gigi Proietti ho avuto la sensazione di andare a lezione in una di quelle scuole dove ti promettono "venti anni in uno"!
E' impossibile vedere Proietti come semplice spettatore e non sentirti studente, voglioso di emulare ma rendendoti conto di essere come attore talmente lontano dalla perfezione da chiederti se vale la pena continuare...
A parte la perfetta padronanza della voce, della mimica, del canto, della pausa, salta prepotente la sua esperienza teatrale, che si manifesta in varie forme, dalla battuta sempre pronta (ad un minuto dall'inizio, al passaggio di un aereo, guarda in cielo e dice: "M'avevano detto che allo spettacolo mio, interrompevano i voli..."), al rapporto con il pubblico
(dopo l'ennesima anticipazione di battuta della folla, segnale di amore e conoscenza del repertorio, ci dice: "A questo punto, me ne potrei anche andare...")
Anche se aveva iniziato in sordina (credo che fosse un po' teso per le condizioni atmosferiche avverse, con un fastidioso venticello che lo costringeva a numerosi colpetti di tosse, e per una non perfetta organizzazione tecnica, con una perfetta e potente amplificazione che però produceva un fastidioso effetto-eco) sono bastate le prime note della oramai famosa romanaccia "Affaccete alla finestra, Nina mia" e i primi giochi col pubblico per far esplodere la potentissima carica esplosiva che è dentro di lui...
E così lo spettacolo esplode, fra pezzi esilaranti come Pietro Ammicca, il nonno rimbambito che racconta favole incartandosi in esse, il professore di letteratura con rovinosa inflessione dialettale, o nostalgici e drammatici monologhi come "Questo amore", recitato facendo trapelare la commozione nel ricordo dell'amico Roberto Lerici, autore dello spettacolo originario "A me gli occhi, please" di ormai venti anni fa, o la tenerissima ed allo stesso tempo comicissima
parodia dell’ amico appena scomparso Vittorio Gassman mentre recita su disco il Quinto canto del Purgatorio di Dante.
E salta da un improbabile mix di "New York, New York" e "O sole mio" ad una perfetta esecuzione di "All the way" di Sinatra, fino alla parodia dello Chansonniere francese di locale di terz'ordine che canta un divertentissimo "Tu me rott el caz..."
Ad un attore solitamente dà fastidio quando uno spettatore anticipa la battuta, ma Gigi deve essere stato felice nel sentire me e altre 2999 persone recitare quasi tutte le ultime battute dei pezzi, dimostrando l’ amore smisurato che la gente ha per lui e per tutti i suoi personaggi, che in questi anni ci ha regalato con una maestria che in pochi altri abbiamo trovato.
E lo dimostra ancora nei bis, con un Petrolini classico (Gastone) ed una altrettanta arcinota
dimostrazione di virtuosismo vocale, con un grammelot americano-napoletano da scompisciare.
Il grammelot è la consacrazione altissima di padronanza della voce, un esercizio onomatopeico dove si emettono suoni dando l'impressione di parlare una lingua o un dialetto non dicendo assolutamente niente...
Basti pensare che in Italia solo Dario Fo e Leo Gullotta possono competere col nostro Gigi nazionale, che in questo è maestro...
Insomma, uno spettacolo divertente, ma soprattutto una vera lezione di teatro, ma che dico.